mercoledì 13 febbraio 2008

Risposta al Trentino

Hai voglia di smantellare le deboli considerazioni del Trentino sullo stereotipo dello studente medio?
Hai voglia di contribuire alla redazione dei una lettera aperta in risposta agli articoli del quotidiano?
Non hai altro da fare?
E allora, agguanta la tastiera del tuo portatile, metti della buona musica nell'Ipod e scrivi la tua risposta al Trentino :-)

Pubblica sottoforma di commento il tuo articolo. Seguirà dibattito.

8 commenti:

nomero ha detto...

Venuto a conoscenza per _puro caso_ di questo post, mi accingo senza indugio a pubblicare il mio canovaccio di risposta.
Il finale, come dicevo nella ML, mi pare un po' troppo PigiBattistoso, ma per il resto non lo trovo malvagio.
Massacratemi pure :-D

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Cari amici,

Ci fu un tempo per le famiglie di mezzo mondo in cui bastava l’annuncio di un figlio diciottenne per gettare nello sconforto i genitori: “Mamma, papà... Voglio fare il giornalista”. Erano gli anni in cui i bravi ragazzi si trovavano un lavoro onesto o seguivano le orme di papà nella fabbrichetta, anni dove bastava passare vicino alla redazione di un quotidiano per sentire il puzzo stantìo di nicotina e caffè, vedere le facce stralunate e felici di uomini eroici che anche quella sera erano riusciti a chiudere il numero, che ci erano riusciti nonostante il sonno, la fisiologica carenza di ispirazione, lo stipendio “non proprio da dirigente”, il redattore stronzo... Erano anni di coraggio e di inchieste vere, anni dove la mafia e il potere ti ammazzavano per una controinchiesta fatta con tutti i crismi. Sono passati più di trentacinque anni da quando Woodward e Bernstein svelavano i brogliacci di Nixon nel Watergate Complex, facendo scattare l’impeachment per il nasuto presidente degli stati uniti (il presidente, mica bruscolini!) con la loro inchiesta sul Post.
L’aria che si respira ora nel giornalismo, italiano soprattutto, è ben diversa. La free-press, gli editori danarosi e le leggi antifumo hanno fatto piazza pulita di quel tempo e di quell’aria di verità, di polvere e informazione.
Entrando in una redazione non vedrete più le “Lettera 22” coi tasti consumati, nessun posacenere colmo fino all’inverosimile, nessun piccolo Hildy Johnson (il protagonista di “Prima Pagina” di Wilder) che sbuffa fumo sulla macchina da scrivere. Più semplicemente, troverete qualche stagista, accucciata sul portatile, che bestemmia per cambiare un’agenzia quel tanto che basta da renderla appetibile al pubblico del suo giornale, il tutto per pochi euro. I giornalisti di oggi sono costretti a scrivere della facoltà di Sociologia di Trento e del fatto che non ci sono più i sociologi cattivi di una volta, che dall’Eskimo si è passati all’iPod, che – via diciamocelo – le mezze stagioni sono scomparse, che ventimilalire di un tempo son due monete di adesso, e via discorrendo. Qualsiasi cosa pur di riempire una pagina scarsa, si dovessero snocciolare tutti i luoghi comuni di questo mondo.

Sono passati quarant’anni. Ce ne siamo accorti dalle piccole cose. L’Università nella quale si esercitava il pensiero razionale adesso venera il dio Credito e invita il Papa per fare penitenza, crea improbabili “figure professionali” anziché distribuire cultura, punta alla quantità (di laureati, di nozioni aride e spesso inutili) anziché alla qualità. L’Università, il luogo dove la contestazione ebbe inizio, è diventato il luogo di un’indottrinamento volgare, di nozionismo esasperante, di alienazione.

E allora, cari giornalisti-lavoratori, provate a non rimpiangere i vecchi contestatori e a riconoscere i nuovi dietro agli iPod e ai portatili, provate a combattere il luogo comune che per fretta, pigrizia o impotenza alberga in voi. Provate a cambiare, come stiamo provando a fare noi.

Anonimo ha detto...

Ho già detto che il pezzo mi piace, se vogliamo che però lo pubblichino toglierei le parolacce.

Puro caso? Che pirla :P


p.s.
ma chi ha messo l'antispam nei commenti?? siamo sicuri che serva tanto? a me pare solo uno smaronamento star lì a scrivere "azweut" o altre baggianate...

Studenti in Fermento ha detto...

Ottimo manolo!!! a me piace,

forse aggiungerei una riga in più su di noi, ma mi piace anche così corto ed incisivo!!

Fra

nomero ha detto...

Grazie, grazie a tutt* per gli attestati di stima e affetto che mi stanno giungendo in queste ore.

Per quel che riguarda la parolaccia (uuuh!) propongo un bel "carogna" anziché "stronzo".

Attendo altresì il pezzo di Luca, in modo tale che i due pezzi si possano compenetrare.

Anonimo ha detto...

bello! davvero occhei.

leti ha detto...

bello davvero!

Anonimo ha detto...

Bravo moreno, l'ho appena letto ed è scritto veramente bene! Sono d'accordo però con aggiungere qualcosa di più magari su di noi.. entro venerdì ti faccio avere qualcosa ma anche così è perfetto di suo. Ciao a tutti

nomero ha detto...

Mando il take two ('a seconda bbozza), che prende spunto dai vostri commenti.
A dopoz!

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Cari amici,

Ci fu un tempo per le famiglie di mezzo mondo in cui bastava l’annuncio di un figlio diciottenne per gettare nello sconforto i genitori: “Mamma, papà... Voglio fare il giornalista”. Erano gli anni in cui i bravi ragazzi si trovavano un lavoro onesto o seguivano le orme di papà nella fabbrichetta, anni dove bastava passare vicino alla redazione di un quotidiano per sentire il puzzo stantìo di nicotina e caffè, vedere le facce stralunate e felici di uomini eroici che anche quella sera erano riusciti a chiudere il numero, che ci erano riusciti nonostante il sonno, la fisiologica carenza di ispirazione, lo stipendio “non proprio da dirigente”, il redattore carogna... Erano anni di coraggio e di indagini rischiose, anni dove la mafia e il potere ti ammazzavano per una controinchiesta fatta con tutti i crismi.
Sono passati più di trentacinque anni da quando Woodward e Bernstein svelavano i brogliacci di Nixon nel Watergate Complex, facendo scattare l’impeachment per il nasuto presidente degli Stati Uniti (il presidente, mica bruscolini!) con i loro pezzi sul Post.
L’atmosfera che si respira ora nel giornalismo, italiano soprattutto, è ben diversa. La free-press, gli editori danarosi e le leggi antifumo hanno fatto piazza pulita di quel tempo e di quell’aria di verità, di polvere e informazione.
Entrando in una redazione non vedrete più le “Lettera 22” coi tasti consumati, nessun posacenere colmo fino all’inverosimile, nessun piccolo Hildy Johnson (il protagonista di “Prima Pagina” di Wilder) che sbuffa fumo sulla macchina da scrivere. Più semplicemente, troverete qualche stagista, accucciata sul portatile, che bestemmia per cambiare un’agenzia quel tanto che basta da renderla appetibile al pubblico del suo giornale, il tutto per pochi euro.
I giornalisti di oggi sono costretti a scrivere della facoltà di Sociologia di Trento e del fatto che non ci sono più i sociologi cattivi di una volta, che dall’Eskimo si è passati all’iPod, che – via diciamocelo – le mezze stagioni sono scomparse, che ventimilalire di un tempo son due monete di adesso e via discorrendo. Qualsiasi cosa pur di riempire una pagina scarsa, si dovessero snocciolare tutti i luoghi comuni di questo mondo.

Sono passati quarant’anni.
Alcuni di noi se ne sono accorti dalle piccole cose. L’Università nella quale si esercitava il pensiero razionale adesso venera il dio Credito e invita il Papa per fare penitenza, crea improbabili “figure professionali” anziché distribuire cultura, punta alla quantità (di laureati, di nozioni aride e spesso inutili) anziché alla qualità. L’Università, il luogo dove la contestazione ebbe inizio, è diventato il luogo di un’indottrinamento volgare, di nozionismo esasperante, di alienazione.

Alcuni di noi sono stanchi della penosa tiritera lezioni-studio-esame che non lascia spazio alla coscienza critica, ché la critica sta alla base della fantasia e tutto-questo-non-va-bene.
Alcuni di noi, sociologi e non, sono esasperati da un sistema che vede gli studenti come manodopera embrionale, come un esercito di lemmings (esserini?) depensanti pronti a fare carriera sbranando il capo-ufficio.
Alcuni di noi sono schifati dalle rivoluzioni annunciate che diventano riforme e che si trafromano in “aggiustamenti”.

E allora, cari giornalisti-lavoratori, provate a non rimpiangere i vecchi contestatori e riconoscete i nuovi dietro agli iPod e ai portatili, provate a combattere il luogo comune che per fretta, pigrizia o impotenza alberga in voi.
Provate a cambiare, come stiamo provando a fare noi.