venerdì 17 ottobre 2008

Bozza da discutere lunedi 20 ottobre

DAL 3+2 AL 3x2: L’UNIVERSITA’ IN SALDO
Dramma in due atti

Prologo

La storia della scuola italiana negli ultimi dieci anni vede un lento susseguirsi di manovre restrittive per ciò che riguarda la spesa nel comparto educativo a tutti i livelli, manovre bipartisan che hanno il loro apice con quello che chiameremo il dramma in due atti recitato dal trio Tremonti/Gelmini/Brunetta. Negli ultimi mesi la scena mediatica si è concentrata sul dibattito inerente la reintroduzione della/del maestr* unic* all’interno della scuola primaria. Tale decisione ha incontrato forti perplessità da parte di comitati dei genitori, delle/dei maestr* e dei sindacati. Purtroppo si tratta solo di uno dei provvedimenti presi a livello nazionale che avranno pesanti ricadute sull’istruzione pubblica nel suo complesso compresa l’università che ci vede coinvolti in prima persona.  

Da dove vengono i soldi?

La principale fonte di finanziamento statale nei confronti dell’università è il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che si compone di due parti: la quota base e la quota di riequilibrio, la quale acquista sempre maggiore rilevanza in base al “costo standard unitario per studente in corso”. Ovvero: maggiore è la percentuale di student* in corso, maggiori sono i finanziamenti che quell’Ateneo riceve; ne deriva uno svilimento della didattica, a favore di un apprendimento superficiale, incoraggiato dalle stesse università, sufficiente solo a superare un esame, ma assolutamente incapace di fornire un’istruzione adeguata alle/agli student*, che si limitano ad accarezzare i concetti invece di farli propri e svilupparne di nuovi.

Atto primo - I tagli 

I tagli operati dai ministri Tremonti e Gelmini agiscono su due fronti: da un lato, il blocco del turnover dell’80% dal 2009 al 2012 e del 50% dal 2012 in poi: nei prossimi tre anni, usciti dieci docenti ne possano rientrare al massimo due, con un passivo per la scuola pubblica nel suo complesso stimato in oltre 100.000 unità. Dall’altro lato, i tagli in finanziaria del FFO – un taglio del 20% per circa un miliardo e 450 milioni di euro nel prossimo quinquennio – hanno conseguenti ricadute negative sulla seconda voce di finanziamento dell’Università, ossia le rette pagate dalle/dagli student*. Infatti, la quota italiana del PIL destinata all’Università è fortemente al di sotto della media europea (0,9 % contro 1,3% della media UE), e lo stesso vale per la spesa totale destinata alla ricerca (1,09% contro 2,26% della media UE).

Tagli del FFO nel DL 112: 63,5 milioni per il 2009
  190 milioni per il 2010
  316 milioni per il 2011
  417 milioni per il 2012
  455 milioni per il 2013

Atto secondo - Le fondazioni

La finanziaria 2009-2011 dà la possibilità alle università statali di costituirsi in enti di diritto privato tramite fondazioni, perseguendo così un vecchio adagio di tutti i governi Berlusconi (e non solo): l’aziendalizzazione e la privatizzazione dall’esistente. L’idea di fondo è semplice: i soldi non ci sono, i finanziamenti all’Università e alla scuola non sono più di importanza strategica. 
Ovviamente, per sopravvivere, gran parte delle Università, scippate di parte del FFO e non potendo alzare le rette più di tanto, dovranno ricorrere all’investimento privato, con le tristemente prevedibili ripercussioni sulla didattica: l’Università rischia così di diventare uno strumento al servizio dell’impresa.

L’ipotetica trasformazione dell’Università in fondazione comporterà: 
1.uno svilimento della ricerca di base a favore della ricerca applicata;
2.un restringimento della sfera d’autonomia per docenti e ricercatrici/tori per quel che riguarda l’ambito di ricerca;
3.una gerarchizzazione degli atenei su scala nazionale discriminando non solo le sedi, ma anche i percorsi didattici, le discipline e i contenuti di ricerca non immediatamente fruibili sul mercato.



COMITATO NO GELMINI – TRENTO

ASSEMBLEA APERTA LUNEDI’ 20 OTTOBRE ORE 18.00

FACOLTA’ DI SOCIOLOGIA - AULA 412 - 4° PIANO

Per una mobilitazione dal basso di precari*, student*, dottorand*, ricercatrici/tori, docenti, insegnanti, maestr*, genitori e personale tecnico-amministrativo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Alberto De Nicola

Innanzitutto la cronaca . Un’assemblea convocata nell’aula Magna del Rettorato de La Sapienza di Roma per chiedere al neorettore Frati la sospensione dell’anno accademico contro i provvedimenti del Governo in materia di Università. Alle 10 la decisione di concentrarsi nel piazzale della Minerva a causa dell’enorme quantità di studenti arrivati in corteo da tutte le facoltà, circa 5000 persone. Alle parole di Frati, che hanno riproposto il vecchio ritornello opportunista sulla giustezza delle ragioni della lotta e l’inadeguatezza delle forme, gli studenti hanno risposto con determinazione formando un corteo spontaneo che, divenuto di 10.000 persone, ha bloccato il centro della città e la stazione Termini e ha deciso di occupare la Facoltà di Lettere per prepararsi al meglio allo sciopero generale di oggi indetto dai sindacati di base.
Una giornata lunghissima e senza respiro, dove alla straordinaria partecipazione alla lotta si è accompagnata un altrettanto straordinaria capacità di incidere, spiazzare e lasciare il segno. Era da molto tempo che non si assisteva a qualcosa del genere.
Eppure chi guardasse a queste mobilitazioni tentando di scovare un qualche tratto familiare, linea di continuità o filiazione rispetto ai vecchi movimenti universitari, rimarrebbe deluso. L’«anno zero» è arrivato anche per le soggettività. Nelle assemblee non c’è traccia di memoria dei vecchi movimenti universitari, e quando viene riesumata, è vissuta con insofferenza. Non si trovano negli interventi quelle formule magiche a cui la retorica della sinistra ci aveva abituato. Neanche l’anti-berlusconismo, molto forte nelle mobilitazioni del 2001 e del 2005, sembra essere un argomento granché gettonato negli interventi degli studenti. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una generazione compiutamente post-ideologica, così estranea al lessico della sinistra storica da fare discorsi, talvolta, che suonano un po’ strani anche alle orecchie del militante di movimento con qualche anno alle spalle. Se la consolante litania sulla difesa del carattere statale dell’università si scontra con la profonda disillusione prodotta da vent’anni di dequalificazione dei contenuti della didattica e il disprezzo nei confronti del permanere di una gestione feudale e parassitaria delle alte sfere del corpo accademico, la minaccia dell’invasione dei privati nella cittadella del sapere viene trattata poco più che come una barzelletta a cui, del resto, non credono neanche quelli che la raccontano sulle pagine dei giornali. Il mutamento di percezione, linguaggio e aspettative affonda le radici in una nuova esperienza del percorso formativo.
Si dice spesso che l’università ha smesso di essere un «ascensore sociale», capace di promuovere la mobilità di chi vi entra preparandolo al mercato del lavoro. Ci si dimentica di dire che chi l’attraversa è già completamente immerso nel mercato, conoscendo livelli di sfruttamento estremi. L’esperienza degli stage e dei tirocini divenuti parti sempre più importanti nel percorso degli studi, è esemplificativa di quanto il carattere presuntamente preparatorio della formazione, si traduca, nell’università statale, nella forma della prestazione gratuita. Lo studente «anima bella» spaventato dalle insidie del mercato non esiste semplicemente più, perché nella concretezza, ha cessato di sussistere la separazione tra il momento formativo e quello lavorativo.
«Non paghiamo la vostra crisi», non è quindi solo uno slogan a difesa del pubblico, ma anche il grido di rabbia di chi non vuole accettare un ulteriore deprezzamento del proprio valore, della propria capacità creativa. La preminenza che in questo movimento assumono le metafore economiche nella descrizione della battaglia da combattere, lo distinguono drasticamente dai precedenti e lo inseriscono in uno scenario di nuovo tipo.
Se esiste un riferimento ad altri movimenti universitari, questo è sicuramente il movimento francese contro il Cpe, richiamato ampiamente all’interno delle assemblee di questi giorni. Non solo, certamente, perché le mobilitazioni che scossero la Francia nel 2006 dimostrano che è possibile attraverso il conflitto raggiungere obbiettivi ritenuti inarrivabili, come il ritiro di una legge già approvata da un governo di centro destra (situazione in questo senso simile a quella che ci troviamo di fronte in questo momento), ma anche perché l’essenza di quel riferimento parla la lingua comune di lotte contro il «declassamento» del lavoro cognitivo, cioè di quella che è diventata la forma egemone del lavoro contemporaneo.
L’apertura di queste lotte alla società intera, costituisce quindi al tempo stesso la sfida inaggirabile per una possibile vittoria e la consapevolezza che l’aura dell’università è solo un ricordo per inguaribili nostalgici. La giornata di ieri a Roma, tra l’insofferenza a rimanere chiusi nella città universitaria e il blocco selvaggio del traffico e della mobilità, lo stanno a dimostrare.

Anonimo ha detto...

ciao a tutt*,
nel forum trovate delle modiche al testo.